Molto tempo fa viveva in Inghilterra un re crudele che amava rincorrere a cavallo le giovani fanciulle che capitavano nella campagna intorno al suo castello e dopo averle catturate (e malvagiamente approfittato di loro) le trafiggeva con la sua spada affilata. I genitori delle giovani della zona fecero allora in modo di mandare le loro figlie lontano, in luoghi più sicuri.
C'era però una piccola, giovane fanciulla, in una casa solitaria, che non aveva potuto andarsene. Sua nonna era troppo povera per pagarle il viaggio e così la teneva nascosta, e tutte e due si guadagnavano la vita filando. La loro casa era vicina a un bosco incantato dove nessuno osava entrare, neppure il malvagio re, per timore della grande quercia magica che cresceva nel centro del bosco.
Un giorno che la nonna era malata la fanciulla fu costretta a uscire per andare al mercato a vendere la lana, perché non avevano più niente da mangiare.
Prima che la nipote se ne andasse, la nonna la baciò raccomandandole di essere molto cauta e di stare lontana dal bosco magico, benché la strada più breve per raggiungere il mercato passasse proprio di lì.
La fanciulla si mise in cammino con la matassa di lana da vendere. Non aveva fatto ancora molta strada quando vide comparire in lontananza la figura del crudele re a cavallo. La fanciulla non fuggì ma silenziosamente entrò nel bosco magico.

Nel bosco della quercia ella entrò
e davanti a essa s'inchinò
così la quercia la portò in città
e così giunse in città attraverso il bosco.
Il bosco magico.

Sembrava tutto risolto ma il re, che l'aveva vista entrare nel bosco, aveva spronato il cavallo e si era lanciato all'inseguimento.

Nel fitto della boscaglia cavalcò
e verso la grande quercia se ne andò,
e giunto estrasse la spada affilata per colpire
ma un grosso ramo gli cadde sul collo facendolo morire.
Nel bosco, nel bosco magico.

Gli uomini del re andarono a cercare il loro signore e quando lo trovarono morto si lanciarono al galoppo nel bosco verso la grande quercia magica.

Cavalcarono nel bosco verso la magica quercia
per tagliare la pianta, la grande quercia.
La quercia scricchiolò e il suo richiamo risuonò
e tutti gli alberi del bosco radunò.
Essi si chiusero attorno agli incauti guerrieri
e il bosco si strinse in tutti i suoi sentieri.
Più nessuno ritornò dal bosco
dal grande bosco magico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ENDURISTA è un ragazzo che ha un’età imprecisata tra i 30 e i 90 anni.

L’ENDURISTA si riconosce da lontano per il suo strano modo di camminare causato dalle numerose fratture, lussazioni, traumi riportati nel corso della lunga attività.

L’ENDURISTA è sempre sporco di fango, ha sempre le mani sporche e soprattutto le unghie, è unto di olio e puzza di benzina, si lava ogni tanto, ma la natura lo riporta al suo ambiente naturale.

L’ENDURISTA nei ritagli di tempo ripara e ingrassa la moto con indosso il maglione di cachemire, avvia la moto con le scarpe della festa e cambia la gomma con i pantaloni bianchi.

L’ENDURISTA è sempre sul filo del divorzio o della separazione; egli spende ogni suo avere in moto, benzina, gomme, ricambi e non resta più niente per cinema, ristorante o discoteca. E poi quale donna andrebbe mai in giro con uno che puzza di benzina e ha il maglione, le scarpe e i pantaloni in quelle condizioni.

L’ENDURISTA ogni volta che porta a casa una moto nuova dice alla moglie: “questo è l’ultimo sfizio che mi tolgo”.

L’ENDURISTA dopo la gara (se è finita bene): “il percorso era difficile, al limite dell’impossibile, ma il mio manico e il mio fisico hanno prevalso su tutte le difficoltà”; (se è finita male): “sono rimasto senza benzina, la moto era scarburata, ho forato, le sospensioni non erano a posto”.

L’ENDURISTA è alla perenne ricerca della moto perfetta: cambia continuamente marca, cilindrata e tipo di motore, ma è regolarmente ogni volta più lento (alternativa) :

L’ENDURISTA compra da trent’anni la stessa marca di moto perché sostiene che è la migliore; per forza, le altre non le ha mai provate .

L’ENDURISTA non passa sopra agli altri ma si ferma e li aiuta, magari bestemmiando dentro di se. guarda sempre l'orologio.

L’ENDURISTA non cade mai, si è solo attardato un attimo perché si è spenta la moto o perché ha sbagliato strada.

L’ENDURISTA la domenica mattina si affaccia alla finestra e guardando le nuvole basse, la nebbia con pioggerellina annessa, mentre tutti gli altri imprecano, pensa….. “[censurato] che terreno che deve esserci oggi”.

L’ENDURISTA va in garage “per una mezz’oretta” e ci rimane 5 ore a fare il filtro la catena e la manutenzione generale.

L’ENDURISTA non smetterà mai di andare in moto “sennò invecchia di 10 anni”.

L’ENDURISTA spende milioni per alleggerire la propria moto di mezzo chilo e ogni anno ingrassa di due chili.

L’ENDURISTA modifica la propria moto fino all’ultimo bullone, ma consiglia sempre all’amico di lasciare la moto originale “se l’hanno fatta così un motivo ci sarà”.

L’ENDURISTA è un eterno bambino.

 

http://www.rebechinrt.it/links.htm

 

 

 

 

Storia di Rocca pitigliana (zona Pietracolora)

Appunti di storia: da Pitigliano (secolo X) a Rocca Pitigliana (XIX secolo)
“Gli autori rinascimentali che ne coniarono il termine e quei successori che di loro ne ribadirono il giudizio negativo, resero un cattivo servizio alla comprensione di quel periodo considerando i suoi mille anni in blocco, senza distinguere fra tempi e luoghi diversi.” (Shepard 1975)
Alcuni centri minori della montagna bolognese, che oggi sono semplici borgate, ebbero nel Medio Evo una vita rigogliosa. Vigo fu centro amministrativo importantissimo probabilmente all’epoca romana ma certamente nell’Alto Medio Evo (secoli VIII – X) e nel periodo comunale. Pitigliano, oggi Rocca Pitigliana, ebbe la stessa importanza (A.Palmieri 1929). Sin dai tempi della Contessa Matilde di Canossa (1055 – 1115), la strada di Savignano era il collegamento preferito, tra Bologna e Pistoia, per i crociati che andavano ad imbarcarsi a Pisa. Il ponte di Savignano, però, ogni tanto rovinava (1259, 1300 e 1370), così i viaggiatori erano costretti a deviare il percorso, prendendo la strada di Pitigliano e Bombiana. Queste furono le occasioni che hanno dato al paese l’opportunità di essere prima conosciuto e successivamente considerato meta da coloro che ne rimanevano fatalmente attratti.
La Chiesa del paese, dedicata all’Arcangelo S. Michele, si trova nominata per la prima volta nel 1235; ma quella a cui ci si riferisce, non corrisponde a quella attuale, infatti alcune testimonianze la localizzano a Prunaro, ai piedi del Monte della Croce, a sbalzo sul fiume Marano.
Il paese di Rocca Pitigliana ebbe anticamente, come ricorda il suo nome, una rocca o castello. Fra le terre che appartenevano alla Contessa Matilde di Canossa nell’alto Appennino occidentale, quasi a confine con il modenese, vi erano quelle comprese tra Bombiana e Montecavalloro. Quella che è l’attuale Chiesa, scolpita nella roccia al centro del paese, sembra essere stata un castello che rientrava fra i possedimenti della Contessa Matilde. Il Calindri, che ha seguito la traduzione della carta dei possedimenti matildici, ammettendo qualche dubbio nella intepretazione dei nomi, non ci dà una denominazione certa dei paesi allora esistenti.
La guerra sorta per ragioni di confini tra Bologna e Pistoia nei primi anni del XIII secolo, ha indotto il Comune di Bologna ad inviare un governatore nella montagna: il Podestà della Montagna. Le sua prima residenza è quella di Vigo, ma nel 1250 la Repubblica, con un riordino interno, porta i Podestà a tre: Casio, in sostituzione di Vigo, Scaricalasino e Castel Leone, sopra Bombiana. Si ha notizia che in quell’anno gli uomini del Castello di Pitigliano, in numero di oltre 300, assieme a quelli di Gaggio, abbandonata la loro terra si stabiliscono a Castel Leone, probabilmente per l’istituzione della Podesteria. A quel tempo il territorio è in pieno fermento; nel novembre del 1283 il Panizza, commerciante di Rocca Pitigliana, mentre si reca al mercato passando per Castelnuovo, subisce una aggressione a scopo di rapina che gli costa la vita.
Nel 1314 la sede della Podesteria di Castel Leone viene trasferita a Rocca Pitigliana, la quale, situata alla confluenza delle valli formate dalle alture di Belvedere, Castel Leone, Pietracolora ed Affrico, viene a trovarsi in una posizione più sicura per l’esercizio delle funzioni.
Il peso del paese nella politica territoriale continua a progredire. Nel 1376 a Rocca Pitigliana viene creata la sede di uno dei Vicariati che sorgono in sostituzione delle Podesterie. La sua giurisdizione è molto vasta e comprende: Affrico, Volpara, Pietracolora, Rudiano, Cereglio, Musiolo, Sassomolare, Susano, Labante, Roffeno, Lissano, Aiano, Montecavalloro, Prunarolo, Castelnuovo, Savignano e Rocca Corneta sul Dardagna. Tale rimane sino al 1453, salvo per Rocca Corneta sul Dardagna che passa nel frattempo al Vicariato di Capugnano.
In questo periodo il paese vive un periodo di benessere, diffondendo tra gli abitanti quella tranquillità di sostentamento che è condizione propizia all’aumento della popolazione. Alcuni dati ci possono dare un’idea della sua densità. Un estimo del 1303 riporta il numero dei fumatori di moltissime comunità ed a Rocca Pitigliana ne risultano 67. Il numero dei militari richiesti al Vicariato di Rocca Pitigliana passa da 30 unità nel 1386 a 40 nel 1404. A quel tempo i sacerdoti vengono coinvolti per esprimere pareri, pacificare litiganti, tutelare i poveri, difendere gli interessi della comunità, a dimostrazione della fiducia di cui erano circondati; tra questi nel 1383 troviamo Don Antonio della Pieve di Rocca Pitigliana. Altri sacerdoti, invece, approfittando della posizione privilegiata, non mancando di farla valere di fronte alla giustizia; nel 1469 Don Pietro, cappellano della Chiesa di Rocca Pitigliana, rapisce una donzella del luogo e la porta a Sibano; l’unico provvedimento giudiziario ritrovato, a conseguenza dell’accaduto, è il processo contro l’oste che li aveva ospita

Attorno al 1380 una feroce pestilenza infierisce sulle terre del Vicariato di Rocca Pitigliana, colpendo in modo significativo il clero, per il contatto diretto che ha con i malati. Questo crea la necessità di nuovi sacerdoti, necessità che forse può essere di spiegazione alle mancanze di celibato di alcuni di loro. Poteva capitare infatti che un sacerdote potesse avere moglie e figli; a Rocca Pitigliana nel 1382 vi è Don Giacomo, figlio di Don Francesco. Questa pestilenza è pure la spiegazione della presenza di molti medici nel paese, i quali avevano probabilmente imparato l’arte, nella famosa scuola di medicina pratica della vicina Costonzo; nel 1474 a Rocca Pitigliana vi è Giovanni Medicus. Nel paese risiede ancora oggi una famiglia Medici che deve probabilmente il suo cognome ad un capostipite medico di questi luoghi.
Alla fine del 1300 esistono anche maestri muratori, i quali, occupandosi di commercio della calce e di appalti, provengono in prevalenza da Como e Milano, in viaggio per partecipare alle grandi costruzioni nelle città toscane. Alcuni di loro però si fermano durante il percorso, trovando sull’Appennino opportunità di lavoro; a Rocca Pitigliana nel 1409 troviamo un Giovanni di Giacomo da Como. Nel casolare della Volpara abbiamo tuttora vecchie costruzioni di quei maestri detti “Comacini”, il cui stemma era composto da una squadra, un compasso ed un martello.
L’arte del fabbro sopravvive con dignità al periodo di pestilenza, che aveva spazzato via quelli del luogo, grazie a fabbri forestieri; nel 1383 in paese vi era Matteo da Borgo S. Sepolcro. La prosperità della sartoria, essendo invece legata all’agiatezza, a causa delle calamità sopravvive con maggiore difficoltà. I sarti che si stabiliscono a Rocca Pitigliana arrivano da Bologna: nel 1400 giunge mastro Antonio.
I calzolai erano pochi, in quanto in montagna la maggioranza della popolazione usava zoccoli di legno; molto rinomato in tutto il territorio circostante nel 1400 era proprio un calzolaio di Rocca Pitigliana, maestro Andrea, figlio di maestro Bartolomeo anche lui calzolaio.
Un particolare ramo di attività sviluppatosi da queste parti era la produzione di cenere, la quale veniva venduta come fertilizzante. Il commercio di questo prodotto si era sviluppato al punto che il Governo, preoccupato della distruzione dei boschi, più volte è intervenuto per impedire sia il taglio che l’esportazione di legna e cenere fuori dal distretto. A Rocca nel 1382 furono sequestrate 2.000 libbre di cenere, ottenute dall’incendio di un bosco del paese.
Il paese a quel tempo, essendo capoluogo di un esteso Vicariato, concentra in sé gran parte della vita. L’affluenza stimola la nascita di ospizi, taverne, negozi per la vendita di spezie, droghe ed olio; vi è anche uno spaccio di vino all’ingrosso, rinomato per la qualità delle uve, coltivate in loco, con cui viene prodotto. Per tutto il 1300 e per buona parte del 1400 è una zona commerciale di prim’ordine. Inoltre le funzioni del Vicariato, essendo sia amministrative che giudiziarie, richiamano in paese numerosi valenti notai ed artigiani i quali, a loro volta, danno rinomanza al paese; così fanno i Zanini esercitando la professione di notaio e di ufficiale giudiziario, funzione lucrosa anche a quel tempo. In un processo del 1412, in merito ad uno scontro fra gli abitanti di Rocca Pitigliana e Bombiana, si apprende anche della bellicosità dei suoi abitanti. I superstiti vengono processati, ma difficilmente erano raggiunti; essi si danno alla macchia, formano delle bande e, con qualche pezzo grosso che si mette alla loro testa, diffondono il terrore, dando vita al brigantaggio. Al 1502 risale invece la attuale Chiesa che troviamo ergersi al centro del paese, la quale viene ricostruita nel 1695 e dotata del campanile sulla roccia solo nel 1696. All’interno, l’altare di S. Michele Arcangelo ricorda la scuola Reniana. Nel 1803, con la costituzione della Repubblica Italiana, Rocca Pitigliana con Affrico, Pietracolora, S. Maria Villiana e Volpara fa parte del Distretto di Vergato. Nel 1866 tutte queste frazioni vengono aggregate a Gaggio Montano, dando origine all’attuale Comune.

 

castel D'aiano

 

La nominazione del paese nacque in primo luogo dalla presenza di un’antica roccaforte, che purtroppo i secoli hanno consumato e dal nome del primo proprietario della località, un certo Aiano soldato di epoca romanica. Sull’antica via Nonantolana, che collegava e collega ancora oggi Nonantola e Lucca, si possono visitare i ruderi degli ostelli e monasteri che fiancheggiavano questa stradadi transito che attraversa molti paesi tra i quali troviamo anche Castel d’Aiano. Tra breve la realizzazione del Museo della Linea Gotica sarà terminato e tutti i turisti desiderosi di apprendere potranno conoscere le dolorose vicende che hanno afflitto questo capoluogo. La linea Gotica, il vecchio percorso delle truppe nella seconda guerra mondiale, passando anche dal paese ne determinò la distruzione nel 1944, dopo un lungo scontro a fuoco tra l’esercito americano e le truppe tedesche. Da quest’ultima testimonianza e da altre molto più antecedenti si intuisce l’importanza strategica di Castel d’Aiano. Infatti il paese situato a cavallo tra le due valli risultava molto predisposto in campo militare.

     

   

Il fascino delle vecchie attività rurali e montane, rivive oggi nella modernizzazione del paese che lo ha valorizzato maggiormente. Oggi il paese è meta turistica non solo per i suoi fitti boschi che creano uno stato di relax nel turista, ma anche per le sue numerose attività sportive. Interessanti sono le visite alla Rocca di Roffeno, Villa d’Aiano e Santa Maria di Lebante. In quest’ultima località è interessante vedere le vecchie macine del mulino del Povolo che sono ancora funzionanti, inoltre orgoglio del paese sono le grotte di Lebante nella località di S. Cristoforo. Le grotte formatesi dalla deposizione di roccia calcarea, detta”sponga”, sono di notevole interesse naturalistico e scientifico.

 

Il Frignano

 

Le origini storiche del Frignano e dei suoi abitanti sono molto antiche e diversi gruppi etnici si stabilirono nel suo territorio fin da epoche preistoriche. Ognuno di questi popoli ha lasciato tracce più o meno visibili della propria presenza, alcune delle quali riscontrabili ancor'oggi: i Liguri Friniantes (Friniati), che sospinti verso la montagna dalla Pianura Padana da Etruschi e Galli Boii, si insediarono e vi si stabilirono ed hanno lasciato il loro nome al territorio; gli Etruschi che hanno condizionato numerosi toponimi locali e i Celti, con la loro capanne dai particolari tetti. A causa della sua posizione strategica e della ricchezza del proprio territorio, il Frignano è stato a lungo sede di aspri combattimenti a scopo di conquista. I primi a cercare di ottenerne il controllo furono i Romani, che lo conquistarono a prezzo di enormi tributi di vite umane e con la deportazione in massa degli abitanti del Frignano. Successivamente furono i Longobardi, con i Bizantini a mettere a ferro e fuoco il territorio e proprio a quei periodi risalgono le prime importanti fortificazioni dell'Appennino, che segnava il confine fra il regno longobardo e il resto della penisola Italica.

Il periodo medioevale fu ricco di avvenimenti storici e di personaggi famosi come Matilde di Canossa, i Conti da Gomola, i Gualandelli signori dell'alta valle dello Scoltenna, i Conti di Balugola, Obizzo di Montegarullo, signore incontrastato del Pelago, ed infine la nobile famiglia dei Corvoli, in seguito denominati Montecuccoli, il cui più illustre rappresentante fu Raimondo Montecuccoli, generalissimo dell'esercito imperiale, che sconfisse i Turchi nel 1664, nella famosa battaglia sul fiume Raab. A questo periodo risalgono la maggior parte delle torri, rocche e castelli che ancora oggi sono visibili. In seguito il Frignano entrò a far parte del Ducato Estense e vi rimase fino all'unità d'Italia. Risale a questo periodo il tracciato della famosa Via Vandelli, che collegava Modena con Massa Carrara: questa strada, che in alcuni tratti è tuttora percorribile, venne in seguito sostituita dalla moderna e più praticabile Via Giardini.

Nel ricco patrimonio architettonico lasciatoci in eredità, è possibile ancor'oggi trovare le tracce di un passato così denso di avvenimenti. In particolare, numerose sono le Pievi romaniche, come quelle di Coscogno, Renno, Rocca Santa Maria, Monteobizzo, Vesale e l'oratorio di Roncoscaglia, oltre ad altri numerosi esempi minori, presenti in tutto il Frignano. Possiamo infine immaginare quale travagliata, ma intensa storia, Abbia vissuto questo territorio grazie al castello di Montecuccolo,di Monfestino, Brandola, Pompeano, Semese, Sestola, insieme a torri e fortilizi che ancora sono visitabili un po' ovunque nel territorio della Comunità. Il Frignano è altrettanto ricco di monumenti architettonici urbani: palazzi storici o edifici religiosi di notevole pregio tra i quali spicca il Palazzo Ducale di Pavullo nel Frignano con il suo parco/giardino botanico ottocentesco e decine di antichi borghi edificati in sasso di arenaria, che si fondono perfettamente con l'ambiente naturale circostante.


Il Frignano è una zona storica dell'appennino emiliano che, nel periodo di sua massima estensione (circa a metà del XIX secolo ma definita amministrativamente "circondario di Pavullo"), era compresa tra la parte destra del fiume Secchia, includendovi pure la vallata del torrente Dragone e tutto il bacino del fiume Panaro.Il territorio comprendeva quindi quasi tutta la zona meridionale dell'attuale provincia di Modena, dalle colline al crinale.

Il nome deriva dagli antichi abitanti, i preromani Liguri Friniati (Friniantes), che occupavano un territorio molto più ampio di quello attuale e formavano l’estremo sud-orientale ligure al di qua dell’Appennino. I Friniati si insediarono e si stabilirono sul territorio dopo che furono sospinti verso le montagne dalla Pianura Padana da Etruschi e Galli Boi, popolazioni che, insieme ai Celti, hanno notevolmente influenzato gli usi ed i costumi locali. Dall’arrivo dei Romani, alla cui occupazione i Friniati si opposero tenacemente, vi fu una progressiva penetrazione di coloni di origine romana nei villaggi, che portò ad una profonda e lenta trasformazione agricolo-sociale ed un periodo di relativa pace. I Romani diedero al territorio una sua autonomia amministrativa e giurisdizionale tanto da costituire una praefectura della colonia di Mutina (Modena). La comunità friniate si modificò poi in struttura militare bizantina, governata da un tribunus, al quale dopo la conquista longobarda subentrò un gastaldo. La giurisdizione su cui poteva esercitare il proprio esercizio conservò caratteri di autonomia nei confronti della capitale. Anche il successivo comitatus Feronianense di età carolingia, che era il vasto distretto governato dal conte di Modena distinto dalla città, mantenne tale prerogativa. Il comitatus aveva come capoluogo il castrum Feronianum, localizzato nei pressi di Pavullo. Con tali basi si fondano successivamente: il Comune federale frignanese (secoli XII-XV), nel quale erano rappresentati tutti i Comuni di valle (esclusi quelli della collina); il Consiglio provinciale del Frignano nei secoli XV-XVIII; la Provincia estense del Frignano (1832-1859) e, nel Regno d'Italia, il Circondario e Sottoprefettura di Pavullo (1859-1926). Il capoluogo fu prima Sestola, dove dal XV secolo si riuniva il Consiglio provinciale e vi risiedeva il governatore estense, poi, dal 1832, Pavullo, dove si era stabilito il delegato governativo estense, e dopo, il viceprefetto dell’Italia unificata.

Attualmente viene denominata del Frignano, una delle 3 comunita montane modenesi, quella dove meglio si riconosce, per costumi, tradizioni e consuetudini, un omogeneità culturale che ha antiche radici.

 

IL GIOVANE ENDURISTA

Occhedovrei dire io?

24 anni compiuti nemmeno da un mese, non ho mai posseduto una moto a marce, solo una Vespa Pk in adolescenza.
A fine settembre 2005 ho comprato un K300 2001 ed ho iniziato per gradi ad uscire in fuoristrada.

Ad oggi 8 Gennaio 2006 sono uscito 15 volte precise precise, ho cominciato con strade bianche larghe larghe facili facili ed ho continuato via via con strade e sentieri sempre meno larghi, sempre più ripidi, con terreno sempre più accidentati.
Naturalmente non sono mancati momenti di disperazione, magari sotto la pioggia battente nell'affrontare quella che in quel momento sembrava una mulattiera impossibile. Addirittura una volta ho rimuginato a lungo sul fatto se la mia scelta di avventurarmi nell'enduro fosse realmente giusta oppure frutto di un innamoramento fatuo frutto di chissà quale visione da videocassetta, rivista o dell'amico in sella al suo fiammante K450 nuovo di zecca.

Tuttavia al termine delle uscite - e si badi bene, al termine di ognuna di essa - sono tornato contento e pieno di voglia di tornare in sella per superare l'ostacolo che in giornata non ero riuscito a sconfiggere oppure per rivivere il divertimento provato nell'affrontarlo con successo. Ebbene sì, dal ritorno il sabato pomeriggio oppure la domenica a pranzo alla successiva uscita non faccio altro che pensare al tragitto del prossimo giro, a come organizzare al meglio il gruppo dei partecipanti etc etc.

A volte sono estremamente soddisfatto di come sto apprendendo a condurre la moto, altre mi sento un perfetto idiota; nel complesso ritengo di dover apprendere ancora tantissimo. Non provo alcun timore o vergogna a chiedere al compagno più esperto consigli, suggerimenti e - nelle situazioni più estreme - di portarmi su la moto (fortunatamente è successo solo 2 volte, peraltro dopo cadute, non gravi ma piuttosto "spettacolari" e come tali meritevoli di procurarmi un attimo di spavento).

Non saprei darmi un voto poichè non conosco il tempo medio necessario ad una persona normale per poter essere giudicata un'endurista "che se la cava pressochè ovunque". Però ogni volta che sono riuscito a salire senza danni nè interruzioni quei tratti che prima mi sembravano inespugnabili ho provato un grande entusiasmo che ha ripagato ogni goccia di sudore ed ogni respiro ansimato nello spingere o nel ritirare su la moto le volte precedenti.

Vogliamo fare un esempio pratico? Bene, prendiamo ad esempio le Pizzorne, che tutti gli enduristi di Lucca conoscono per forza di cose.
Giovedì 5 ho scalato in sequenza:
- Cava della Socciglia;
- Acquedotto;
- Radici o Antennine;
- 7 Colli;
- Ruscello;
- Antenne.
Sarò sì andato piano-pianino con la 2° marcia sempre innestata, infaticabile, sempre pronta e soprattutto immortale con la frizione in mano. Sarò lentissimo nei trasferimento perchè dò la colpa ai freni che non vanno, alla paura del ghiaccio, di trovare una macchina o un trattore al di là la curva, sarò goffo nel saltare le cunette formate dagli scoli dell'acqua, sembrerò un caga-sotto sull'asfalto, non sarò capace di superare un camion impennando.
Però questi bei sentierini sono finalmente riusciti a montarli senza mai cascare, e pertanto di tutto il resto me ne infischio!

Ed infine, la moto.
Gran parte del merito dei miei progressi lo devo a lei, non c'è dubbio. All'inizio non sapevo dosare la frizione, così lei non poteva far altro che morire al primo gradone preso troppo lentamente. Poi ho lentamente iniziato a capire come darle da mangiare nel momento giusto, e lei mi ha ripagato tirandomi fuori in punti dove mai e poi mai prima avrei pensato una moto potesse ripartire pressochè da fermo.
Docile di natura, mai brusca, ma subito vigorosa e possente se lo si desidera: quando sono in vena buona nel veloce mi dà tutto ciò che voglio, ciò che serve ed anche di più, se non fosse per i miei limiti e per i freni ( ma forse sono ancora io che non so utilizzarli) sarei sempre in testa.

Consumo presumo nella norma, la mia guida e le mie capacità privilegiano i sottocoppia, quasi mai violento la manopola anche perchè non è necessario. Intorno ai 9 km/l oserei dire, però non avendo il trip-computer non posso assicurarlo.

Sono giovane, alto e ritengo mediamente robusto, pertanto non mi è mai sembrata eccessivamente pesa, e ci mancherebbe altro infatti. Per ora è partita sempre alla prima pedalata, in qualunque situazione e dopo i voli più disparati.

Non posso dir niente in merito alla manutenzione, ad oggi l'unico intervento che ho dovuto effettuare è stata la saldatura di una crepa della marmitta.